FIP (Feline Infectious Peritonitis)

La peritonite infettiva felina (FIP) è forse la malattia più subdola e insidiosa che può colpire un gatto: quando si manifesta purtroppo non lascia scampo. E’ causata da una mutazione “maligna” del Coronavirus Enterico Felino (FCoV), un virus tipico dei felini che non infetta le persone o altri animali domestici, ma è molto comune fra i gatti. La forma nativa, cioè non mutata, del FCoV non causa di solito alcun problema, al limite una lieve diarrea che guarisce spontaneamente. In una piccola percentuale di casi, però, il virus muta in nell’organismo del gatto infetto, diventa resistente alle difese immunitarie e va ad invadere gli organi interni. Nel tentativo di combattere l’infezione, il sistema immunitario produce cellule e sostanze che si accumulano negli organi danneggiandoli, con infiammazione e necrosi dei vasi sanguigni.

Sintomi clinici. Quelli delle fasi iniziali sono molto vaghi: febbre altalenante che resiste agli antibiotici, disidratazione, inappetenza o anoressia con graduale perdita di peso, mantello spento e opaco, vomito, diarrea, sonnolenza e depressione. L’arresto dello sviluppo è comune nei gattini e può precedere gli altri segni di molte settimane. La patologia può presentarsi in 2 forme:

– forma essudativa (umida), caratterizzata da rigonfiamento dell’addome e difficoltà respiratorie, dovute a raccolte di liquido rispettivamente in addome e nel torace;

– forma non essudativa (secca), caratterizzata dall’accumulo di granulomi in vari organi (palpabili attraverso la parete del corpo se superficiali oppure visibili all’ecografia) e disturbi a carico degli occhi.

Possono comparire anche segni neurologici con alterazioni del comportamento (cambiamenti di personalità, collera immotivata, desiderio di nascondersi o fuggire), andatura barcollante e tremori, convulsioni. Il decorso clinico varia da alcuni giorni a parecchi mesi, con la forma umida che si manifesta più di più frequente e che progredisce più velocemente rispetto a quella secca. Tuttavia, non è raro che gatti con FIP secca sviluppino la forma umida poco prima di morire: questo cambiamento è associato al crollo totale dell’immunità. La mortalità è purtroppo del 95-100% per entrambe le forme.

Chi colpisce? Il FCoV è largamente presente tra i gatti, ma la FIP colpisce in particolare nei luoghi dove convivono molti gatti (gattili, allevamenti, colonie feline) in cui acqua, cibo e lettiere vengono condivisi ed è presente un gran numero di giovani, i più suscettibili all’infezione, soprattutto se malnutriti, affetti da altre malattie e/o sottoposti a stress. Proprio stress di varia natura paiono essere fra le principali cause scatenanti la malattia. La mortalità maggiore si verifica da subito dopo lo svezzamento fino ai 6 – 24 mesi di età, poi decresce, con pochi casi dopo i 3-5 anni. I gatti di razza sembrano essere più suscettibili, in particolare le razze asiatiche come il Persiano e l’Himalayano. La percentuale di gatti positivi al FcoV, che può subire la mutazione del virus in FIPV è del 5-10%, a seconda della presenza o meno dei fattori di rischio prima evidenziati.

Come si diffonde la FIP? Il virus si trasmette principalmente attraverso la via oro-fecale, cioè viene eliminato con le feci nell’ambiente e i gatti si infettano ingerendo il virus quando si puliscono, mangiano o inalano particelle fecali. Questi gatti iniziano ad eliminare il virus entro una settimana dall’infezione, poi la maggior parte di loro riesce a debellarla nel giro di settimane o mesi. Si stima che il 13% dei gatti positivi al Coronavirus diventi portatore a vita ed elimini continuamente il FCoV attraverso le feci mantenendosi; tuttavia per lo più perfettamente sani, anche se alcuni possono sviluppare una diarrea cronica. La particolarità di questa malattia è che, sebbene il normale FCoV sia molto contagioso, nella sua forma mutata (FIPV) non lo è: il virus mutato resta confinato nel corpo del gatto ammalato. Un gatto affetto da FIP non è in grado di trasmettere la FIP altri gatti, però potrebbe essere ancora in grado di diffondere la forma non mutata (benigna) del virus: resta il rischio che il gatto ricevente, se predisposto, possa subire anch’egli la mutazione del virus.

Diagnosi: E’ difficile e frustrante da diagnosticare poiché non vi sono esami specifici per questa malattia. Il sospetto di FIP si basa spesso sulla combinazione tra sintomatologia clinica, esami di laboratorio, radiografie, ecografie, eventualmente biopsie se il paziente non è troppo debole. Da solo, un elevato titolo degli anticorpi anti-Coronavirus non ha valore diagnostico: vuol solo dire che il micio nella sua vita è venuto in contatto con il virus, ma non è possibile sapere se nella forma nativa, che dà scarsi problemi, o nella forma mutata che causa la FIP.

Prognosi: per i gatti che presentano sintomi clinici di FIP la prognosi è sfavorevole. I gatti affetti dalla forma umida di solito presentano una prognosi più riservata rispetto a quelli affetti dalla forma secca, ma entrambe le tipologie sono fondamentalmente fatali, con un’attesa di vita che va da pochi giorni a qualche settimana. Vi sono rari casi in cui il soggetto resiste per più di un anno (forma “secca”).

Terapia: E’ purtroppo solo palliativa al fine di garantire all’animale una qualità di vita priva di dolore e sofferenza il più a lungo possibile. Prevede essenzialmente l’utilizzo di antinfiammatori, immunomodulatori, stimolanti dell’appetito, vitamina C. Poiché la FIP è una malattia virale, gli antibiotici sono inefficaci, possono servire solo a prevenire eventuali sovrainfezioni batteriche. Alcuni gatti mostrano sollievo temporaneo se si rimuove il liquido accumulato nel torace e nell’addome. A ciò va aggiunto il riposo, una dieta ad alta percentuale proteica e nessuna attività stressante. Quando le condizioni del gatto si aggravano troppo, è opportuno considerare l’eutanasia.

Vaccinazione: Esiste solo un vaccino intranasale negli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei (non in Italia), ma il suo utilizzo è controverso: non è efficace nei gatti con precedente infezione da FcoV e la prima dose non può essere somministrata prima delle 16 settimane di età, mentre per i gattini di ambienti endemici, l’infezione compare prima, in genere fra 6 e 10 settimane d’età.

Prevenzione: Il FeCoV è molto contagioso e resistente nell’ambiente: se il gattile è composto da un numero elevato di animali conviventi, è molto probabile che solo pochissimi di essi (meno del 5%) sia effettivamente negativo. Le particelle del virus possono sopravvivere per parecchie settimane nelle feci secche, nella lettiera ed in pavimentazioni porose. La cosa positiva è che viene distrutto dai comuni disinfettanti, come una soluzione di candeggina e acqua in proporzione 1:32. Pertanto, un’igiene rigorosa è essenziale: le feci vanno rimosse quotidianamente, le lettiere e gli ambienti puliti e disinfettati regolarmente. Inoltre, evitate il più possibile tutto ciò che può aumentare lo stress: quindi, una buona alimentazione, profilassi anti-parassitarie ed un ambiente confortevole e sicuro sono aspetti altrettanto importanti che vanno garantiti ai piccoli felini.